dal G.U.P. del Tribunale di Nola dott. R. Muzzica a cura dell’Avv. Anna Nunziata Key…
Sentenza n. 200 emessa in data 25/01/2024 dal Collegio C del Tribunale di Nola estensore dr. Aurigemma
BANCAROTTA FRAUDOLENTA IMPRORIA
Sulla insussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta cd. impropria per operazioni dolose
A cura di Giacomo Pietropaolo
Massima
Il delitto di bancarotta fraudolenta impropria previsto dall’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. può perfezionarsi anche attraverso il sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, ma solo se ed in quanto tale inadempimento sia “frutto di una consapevole scelta gestionale” da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali. Al contrario, il carattere non sistematico dell’inadempimento delle obbligazioni tributarie da parte degli stessi, in assenza, altresì, del nesso di causalità tra detto inadempimento ed il fallimento della società, dichiarato dal Tribunale su iniziativa di due creditori privati, non potrebbe portare alla prova in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Key word: Bancarotta fraudolenta – operazioni dolose – elemento soggettivo del reato
Abstract
Con la sentenza di seguito riportata, il Tribunale di Nola, in composizione collegiale, nel condannare uno solo degli imputati per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, assolveva tutti gli altri coimputati dal delitto di bancarotta fraudolenta cd. impropria ex art 223 co. 2 n. L. Fall., valorizzando la carenza dell’elemento soggettivo del reato.
Fatto contestato
Nella vicenda in esame, gli imputati venivano rinviati a giudizio per diversi fatti di bancarotta fraudolenta nelle loro rispettive qualità di amministratori di diritto, che nel corso di diversi anni, si erano succeduti nella gestione della fallita.
Più nel dettaglio, agli imputati venivano contestati il reato di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 co. 1 n. 2 L. Fall. ed il reato di bancarotta fraudolenta cd. impropria, previsto e punito dall’art. 223 co. 2 n. 2 L. Fall.
Tale seconda imputazione, in particolare, si fondava sull’asserita esistenza di operazioni dolose – consistite nel sistematico inadempimento delle imposte e delle obbligazioni fiscali tale da generare un passivo fallimentare superiore ai 33 milioni di euro – che avevano cagionato lo stato di dissesto ed il successivo fallimento della società.
Stralcio della motivazione della sentenza
“Gli imputati devono essere assolti dal reato di bancarotta fraudolenta impropria loro ascritto al capo b) della rubrica, ai sensi dell’art. 530, 2° comma, c.p.p., per l’insussistenza del fatto. Sulla scorta degli elementi di prova (alquanto scarni, a dire il vero) raccolti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, non può dirsi accertato – non, almeno, nei termini della ragionevole certezza richiesti dal legislatore ai fini dell’affermazione della penale responsabilità di chicchessia – che gli stessi, nella loro veste di amministratori e legali rappresentanti della fallita abbiano cagionato, per effetto di operazioni dolose, consistite nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali, il fallimento della società.
Deve rilevarsi, invero, in via preliminare, che, per opinione comunemente accolta in giurisprudenza (condivisa da chi scrive), il delitto di bancarotta fraudolenta impropria incriminato nell’art. 223, co. 2, n. 2) della legge fallimentare si configura
se ed in quanto le operazioni dolose – intendendosi per tali l’insieme di condotte, attive o anche omissive, implicanti una disposizione patrimoniale, compiute dai soggetti preposti all’amministrazione dell’impresa, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla loro funzione, con l’intento di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, in danno della società o dei creditori, o anche con la sola intenzione di arrecare un danno alla società o ai creditori – abbiano causato un’indebita diminuzione dell’attivo e, quindi, un depauperamento patrimoniale della fallita non giustificabile in termini di interesse economico della stessa.
La Suprema Corte ha avuto modo di precisare, più in particolare, con riferimento all’elemento materiale del reato, che la nozione di operazione “richiama necessariamente un quid pluris rispetto ad ogni singola azione (o singoli atti di una
medesima azione), postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distruzione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensi da un fatto di maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato” (Cass. pen., sez. 5, 7.5.2010, n. 17690).
Tanto premesso sul piano generale, occorre chiedersi se nei fatti accertati a carico degli imputati, di ciascuno di essi, siano ravvisabili i tratti fisionomici del reato in
contestazione. Prendendo le mosse dall’elemento oggettivo del reato, va ricordato che il passivo fallimentare, ammontante ad oltre 33 milioni di euro, era costituito, essenzialmente, secondo quanto riferito dal curatore, dal debito maturato tra il 2005 ed il 2017 nei confronti dell’Erario.
Nella relazione depositata in Procura si legge, inoltre, che detto passivo si era formato, essenzialmente, nel corso del 2017, allorquando l’ammontare dei debiti tributari aveva subito una brusca impennata, per poi stabilizzarsi (nel 2018, infatti, la società aveva smesso, di fatto, di operare, come pure si è detto).
Cio posto, appare evidente che l’inadempimento delle obbligazioni tributarie, lungi
dall’essere “sistematico”, si è manifestato in maniera dirompente, essenzialmente, nell’anno 2017, circostanza, questa, che induce a ritenere se non altro plausibile che il mancato, tempestivo adempimento degli obblighi tributari (di quelli rimasti inevasi, naturalmente, e per importi molto limitati, a quanto è dato comprendere) da parte degli amministratori succedutisi nell’incarico negli anni precedenti, non abbia costituito espressione di una strategia comune, volta al depauperamento del patrimonio sociale – difficilmente immaginabile, del resto, in soggetti chiamati a gestire la società in tempi diversi, e molti anni prima del suo fallimento -, ma sia riconducibile, piuttosto, ad una condizione di obiettiva difficoltà, anche soltanto transitoria, di far fronte ai propri impegni verso l’Erario, legata alle difficoltà economiche dell’impresa.
Altresì, la scarna documentazione acquisita non appare idonea a consentire una verifica attendibile dell’attività d’impresa e dell’andamento economico-patrimoniale della società, né tantomeno, quindi, delle possibili cause del dissesto. Ciò posto, quand’anche volesse ritenersi configurabile, nei fatti accertati a carico degli imputati (di taluno di essi), la componente materiale del reato contestazione – rimasto, in realtà, indimostrato, apparendo quanto meno dubbio sia il carattere sistematico dell’inadempimento delle obbligazioni tributarie da parte degli stessi, sia, soprattutto, il nesso di causalità tra detto inadempimento ed il fallimento della società, dichiarato dal Tribunale di Nola su iniziativa di due creditori privati, non potrebbe dirsi provata, in ogni caso, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
E’ stato chiarito, invero, in giurisprudenza, che il delitto di bancarotta fraudolenta
impropria previsto dall’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. può perfezionarsi anche
attraverso il sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, ma solo se ed in quanto tale inadempimento sia “frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali’ (Cass. pen., 19.2.2018, n. 24752).
Tribunale di Nola, Collegio C, presidente estensore dr. Martino Aurigemma sentenza n. 200 del 25 gennaio 2024.

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