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Sentenza n. 622 emessa in data 19/03/2024 dal Collegio A del Tribunale di Nola Presidente estensore dott.ssa Agnese Di Iorio

Giudice dott.ssa Alessandra Zingales

Giudice dott. Arnaldo Merola

CONTESTAZIONI NELL’ESAME TESTIMONIALEEX. ART. 500 COMMA 4 C.P.P.

Acquisizione delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, nel fascicolo del dibattimento, in presenza di elementi concreti tali da far ritenere che lo stesso abbia subito violenza, minaccia, promessa o offerta di denaro o altre utilità al fine di non deporre o dichiarare il falso.

Key Word: CONTESTAZIONI NELL’ESAME TESTIMONIALE – ART. 500 co. 4 C.P.P. ACQUISIZIONE DELLE DICHIARAZIONI CONTENUTE NEL FASCICOLO DEL P.M. PER INTERVENUTA MINACCIA O VIOLENZA.

ABSTRACT

Con la sentenza di seguito riportata, il Tribunale in composizione collegiale di Nola, non riteneva attendibili le dichiarazioni dibattimentali della teste essendo emersi elementi concreti per ritenere che sia stata condizionata nella sua deposizione(contesto ambientale di provenienza della teste: a) stato di protratta violenza e sopraffazione e correlato timore; b) condizioni di totale isolamento familiare, sociale, culturale  della donna e di dipendenza economica dal marito e dalla di lui famiglia;  c) contegno tenuto con totale smentita delle originarie accuse. Ed ancora: il rapporto mantenuto dalla donna con la famiglia dell’imputato e la negazione di comprensione della lingua italiana, oltre alla dichiarata riconciliazione con l’imputato verosimilmente riconducibile ad una utilitaristica ricomposizione dei rapporti con costui e con la di lui famiglia, mossa dalla condizione di isolamento della donna e dalla mancanza di autonome fonti di sostentamento economico). A tal fine si decideva di acquisire ex art. 500 comma 4 c.p.p. le dichiarazioni predibattimentali rese dalla stessa e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. In particolare, si applicava il principio secondo il quale il presupposto dell’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali risiede nella ricorrenza di elementi concreti indicativi della sottoposizione ad intimidazione, che possono concretizzarsi non solo nella violenza o minaccia indirizzata nei confronti del teste ma anche in altre circostanze sintomatiche della subita intimidazione, purché connotate da obiettività e significatività, con la conseguenza che tali dichiarazioni sono pienamente utilizzabili ai fini della formazione della prova ed in particolare possono costituire fonte probatoria esclusiva e determinante dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, ove la loro attendibilità intrinseca sia confermata attraverso il rigoroso vaglio delle garanzie procedurali emergenti dalla progressione processuale, senza la necessità di reperire i riscontri esterni di cui all’art, 192, comma 3, c.p.p..

FATTO CONTESTATO

La vicenda in esame può essere così ricostruita: in presenza della figlia minore, dell’età di dieci anni, l’imputato si abbandonava a frequenti ed incontrollabili accessi d’ira, generalmente esasperati dall’abuso di sostanze alcoliche, assumendo nei confronti della ex moglie convivente e della predetta minore un atteggiamento dispotico e prevaricatore, urlando e scaricando la propria furia contro mobili e suppellettili di casa, apostrofando entrambe con epiteti offensivi quali “puttana”, “troia”, “figlia di puttana”, minacciandole di morte, anche con l’uso di coltelli, nonché percuotendo ripetutamente la ex moglie, spintonandola, stringendole le mani intorno al collo, schiaffeggiandola e tirandole i capelli. Da ultimo, in un’occasione in particolare, irritato dalla banale circostanza che questi ultima non gli avesse risposto al telefono, la ingiuriava, ricorrendo ai consueti epiteti, la afferrava per il maglione, spingendola con forza contro la parete della cucina e sferrandole un violento schiaffo al volto, quindi schiaffeggiava anche la figlia, intervenuta a difesa della madre, poi strappava via il cellulare dalle mani della moglie per impedirle di richiedere aiuto, così procurandole lesioni personali, e riprendendo a schiaffeggiare la donna, infine, dal momento che moglie e figlia erano riuscite a fuggire in strada ed avevano chiesto soccorso ad un passante, dopo aver aggredito quest’ultimo con calci e pugni e infranto una bottiglia di vetro contro un muro, brandendone i cocci all’indirizzo di entrambe, contestualmente minacciandole di morte, maltrattava la ex moglie e la figlia minore cosi da costringerle ad un regime di vita penoso ed avvilente;

Stralcio della motivazione della sentenza Va premesso che il Tribunale non ha ritenuto attendibili le dichiarazioni dibattimentali della donna, che ha ritrattato sostanzialmente tutte le accuse originarie mosse all’imputato (negando di essere stata aggredita fisicamente dal marito, se non in due sole occasioni con degli schiaffi), rendendo una versione dei fatti diametralmente opposta a quella in precedenza fornita (descrivendo buoni rapporti con il marito in costanza di matrimonio e di convivenza) e certamente riduttiva, con evidente intento di coprire le responsabilità del marito, con il quale ha asserito di essersi riconciliata; per di più dalle circostanze e modalità dell’escussione dibattimentale della stessa sono emersi elementi concreti per ritenere che la teste sia stata condizionata nella sua deposizione dalla prospettiva di conseguire l’utilità di conservare una casa, una famiglia, un sostentamento economico per sé e per la figlia, direttamente collegate alla sua condizione personale di donna e madre completamente sola ed emarginata nel contesto sociale  perché priva di ogni legame familiare e sociale, se non con l’ex marito e la di lui famiglia, per di più in territorio straniero e priva inoltre di indipendenza economica; elementi tali da costituire il presupposto dell’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali ex art. 500 co. 4 c.p.p.. A tale proposito deve premettersi che il presupposto dell’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali a norma dell’art. 500 co. 4 c.p.p. risiede nella ricorrenza di ‘elementi concreti’ indicativi della sottoposizione ad intimidazione, che possono concretizzarsi non solo nella violenza o minaccia indirizzata nei confronti del teste ma anche in altre circostanze sintomatiche della subita intimidazione, purché connotate da obiettività e significatività. In particolare secondo la giurisprudenza di legittimità non è necessario che gli elementi indicativi della intimidazione siano ‘successivi’ alla condotta oggetto di contestazione, ben potendosi desumere anche dal fatto stesso che il dichiarante sia la vittima dei maltrattamenti per cui si procede (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 29342 del 10/04/2019); piuttosto è necessario che si tratti di “elementi concreti” desumibili anche da circostanze emerse prima e fuori dal dibattimento (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 13176 del 11/12/2018) o emerse nello stesso dibattimento (Cass. Pen. Sez. 2, Sent. n. 29393 del 22/04/2021): “Ai fini dell’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni in precedenza rese dal teste, ai sensi dell’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., gli “elementi concreti”, sulla base dei quali può ritenersi che egli sia stato sottoposto ad intimidazione affinché non deponga ovvero deponga il falso, non devono necessariamente consistere in fatti che positivamente dimostrino con un livello di certezza necessario per una pronuncia di condanna – l’esistenza di specifici atti di violenza o minaccia indirizzati verso il medesimo, potendo, invece, essere desunti da circostanze sintomatiche dell’intimidazione, emerse anche nello stesso dibattimento, secondo parametri correnti di ragionevolezza e persuasività, alla luce di una valutazione complessiva delle emergenze processuali. In tale ottica costituisce indicatore dello stato di intimidazione il contesto ambientale di provenienza del dichiarante, quale è lo stato di protratta violenza e sopraffazione cui l’imputato sottopone la vittima (“in tema di prova testimoniale, ai fini dell’acquisizione al fascicolo del dibattimento ex art. 500, comma 4, cod. p. p. delle dichiarazioni in precedenza rese dal teste che rifiuti di deporre, è richiesta la sussistenza di «elementi concreti» per ritenere che il predetto sia stato sottoposto a pressioni, desumibili da qualunque circostanza sintomatica della subita intimidazione, purché connotata da precisione, obiettività e significatività. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione acquisitiva dei giudici di merito, giustificata alla luce del contesto ambientale di provenienza della dichiarante, in precedenza sfruttata come prostituta, caratterizzato dall’utilizzo del rito “voodoo” per garantire la sottomissione delle vittime, inducendo in esse uno stato di gravissimo turbamento ed il timore di ritorsioni ai danni dei parenti rimasti (Sez. 3, Sentenza n. 19155 del 15/04/2021) nel Paese di origine)”. Come pure costituisce elemento indicatore della intimidazione del testimone il comportamento processuale da egli assunto che sia sintomatico di per sé della intimidazione ricevuta (Cass. Sez. 2, Sent. n. 41489 del 26/06/2018), quale è quello del testimone che smentisca totalmente la versione precedentemente resa in aperto contrasto con altre emergenze processuali; a tale riguardo si richiama al riguardo il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di acquisizione al fascicolo per il dibattimento, ai sensi dell’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., delle dichiarazioni rese dal testimone prima del dibattimento, le modalità della deposizione e il contegno tenuto in dibattimento possono essere valutati quali elementi sintomatici delle indebite pressioni esterne che consentono l’acquisizione e l’utilizzazione delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini. (Fattispecie relativa a un procedimento per estorsione continuata, aggravata dal metodo mafioso, nel quale il teste, comparso coattivamente dopo essere stato più volte vanamente citato, esordiva, prima ancora che gli venissero rivolte domande sui fatti, dichiarando di aver detto in precedenza “solo bugie”, mentre risultava dalla deposizione di un altro testimone che egli aveva vissuto con grande preoccupazione le minacce di ritorsione a lui rivolte dall’imputato e dai suoi complici) – (Cass. Pen. Sez. 2, Sentenza n. 41489 del 26/06/2018). Ed ancora, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche il riavvicinamento o la riappacificazione tra vittima e agente può costituire elemento rivelatore dell’intimidazione del testimone (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 8895 del 18/01/2021: “Nei procedimenti relativi al reato di atti persecutori, anche il riavvicinamento o la riappacificazione tra vittima e persecutore possono costituire un “elemento concreto” idoneo, ai sensi dell’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., ad incidere sulla genuinità della deposizione testimoniale della persona offesa, che, ove non possa rimettere la querela, perché irrevocabile, potrebbe essere indotta a circoscrivere, limitare o revocare le dichiarazioni accusatorie in precedenza rese”; fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima l’acquisizione e l’utilizzazione delle originarie dichiarazioni della persona offesa che, dopo aver denunciato le reiterate condotte di violenza e minaccia subite, per paura di future ulteriori ritorsioni aveva ritrattato e ridimensionato in dibattimento le accuse). Nel caso in esame ricorrono dunque plurimi elementi indicatori dell’intimidazione e/o condizionamento della teste. Tale è certamente il contesto ambientale di provenienza della teste sia in relazione allo stato di protratta violenza e sopraffazione cui l’imputato la aveva sottoposta e di correlato timore della donna (al punto che ella mai aveva denunciato i comportamenti maltrattanti e l’unica volta che lo aveva fatto aveva poi rimesso la querela), apertamente manifestato dalla donna in occasione dell’episodio risalente al 30.4.2024 ai suoi soccorritori (testi di polizia giudiziaria), sia in relazione alle condizioni di totale isolamento familiare, sociale, culturale  della donna e di dipendenza economica dal marito e dalla di lui famiglia. Come pure elemento sintomatico di condizionamento è il contegno tenuto dalla donna nel corso del dibattimento in relazione, cioè, alla totale smentita delle originarie accuse nei confronti dell’imputato, peraltro dissonante con le circostanze e modalità dei fatti per come emergono dalle altre fonti probatorie. Ed ancora indici rivelatori di tale condizionamento si colgono nel rapporto mantenuto dalla donna con la famiglia dell’imputato (al punto che la donna si presentava in aula accompagnata dalla madre e dai fratelli dell’imputato); nel contegno tenuto durante l’esame dibattimentale con la negazione di comprensione della lingua italiana (benché in tutte le dichiarazioni predibattimentali, comprese quelle iniziali rese nell’anno 2022, dunque in epoca non sospetta, aveva dichiarato di comprendere la lingua italiana prima che venissero assunte le sue dichiarazioni, senza richiedere di farsi assistere da interprete) con il chiaro intento di intaccare la genuinità delle dichiarazioni verbalizzate negli atti di indagine; nella dichiarata riconciliazione con l’imputato verosimilmente riconducibile ad una utilitaristica ricomposizione dei rapporti con costui e con la di lui famiglia, mossa dalla condizione di isolamento della donna e dalla mancanza di autonome fonti di sostentamento economico. Per tali motivi si sono ravvisati nel caso in esame i presupposti di legge per l’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali della teste a norma dell’art. 500 co. 4 c.p.p., con la conseguenza che tali dichiarazioni sono pienamente utilizzabili ai fini della formazione della prova ed in particolare “possono costituire fonte probatoria esclusiva e determinante dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, ove la loro attendibilità intrinseca sia confermata attraverso il rigoroso vaglio delle garanzie procedurali emergenti dalla progressione processuale, senza la necessità di reperire i riscontri esterni di cui all’art, 192, comma 3, cod. proc. pen” (Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 12045 del 16/12/2020). Ebbene, sottoposte al vaglio di attendibilità secondo i criteri ermeneutici sopra indicati, le sue dichiarazioni predibattimentali risultano del tutto attendibili in quanto connotate da tutti i crismi dell’attendibilità intrinseca soggettiva ed oggettiva: quanto al primo profilo va evidenziato che i fatti narrati dalla donna sono certamente frutto della propria esperienza di vita vissuta con l’imputato; inoltre non sona ravvisabili motivi di astio o di rancore tali da indurre a false incolpazioni (la stessa teste ha riferito di un riavvicinamento con l’imputato, dopo la separazione, per sopperire alle indispensabili esigenze di vita sue e della figlia); ancora, sotto il profilo della attendibilità intrinseca oggettiva, va evidenziata la certa spontaneità delle dichiarazioni accusatorie perché rese nell’immediatezza del più cruento episodio verificatosi la sera del 30.4.3023 ed anzi proprio sull’onda del sentimento di profonda paura con cui la donna si presenta negli uffici dei Carabinieri; come pure va evidenziata la verosimiglianza, la completezza, la costanza e la coerenza logica della sua narrazione. Ciò posto le dichiarazioni predibattimentali costituiscono valida e piena prova dei fatti narrati. Peraltro esse trovano diretto riscontro, per quanto concerne in particolare l’evento occorso nella serata del 30.4.2023, nella deposizione del teste che le diede soccorso, conducendola dai Carabinieri, e nelle fotografie ritraenti le lesioni inferte nel corso del litigio avuto con il marito la sera del 30.4.2023, allegate alla denuncia sporta in tale data; così avallando il giudizio di attendibilità anche della parte del narrato relativo ai pregressi rapporti con imputato. Deve pertanto ritenersi provata la sussistenza dei reati di cui ai capi a), c) e d). Le circostanze e modalità della condotta tenuta dall’imputato nel corso del rapporto coniugale e di convivenza configurano senza alcun dubbio il reato di maltrattamenti in famiglia in danno della stessa, di cui al capo a) dell’imputazione. In particolare le condotte poste in atto – offese, mortificazioni, aggressioni verbali e fisiche – integrano atti lesivi dell’integrità fisica, della libertà del decoro del soggetto passivo e dunque assumono natura di atti vessatori, tali cioé da cagionare alla persona offesa sofferenza, prevaricazione e umiliazioni e da costituire fonte di uno stato di disagio continuo per il soggetto passivo, che si trova ad essere vittima di una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la stessa convivenza particolarmente dolorosa. Tali atti, inoltre, risultano connotati dall’elemento caratterizzante della condotta di maltrattamenti – che è dato dalla abitualità o reiterazione nel tempo di tali atti – risultando unificati da un dolo unitario che abbraccia e fonde le diverse azioni, consistente nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria. Da ultimo va sottolineato che le condotte tenute dall’imputato denotano la coscienza e volontà di sottoporre la moglie ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo continuo e abituale, il che vale ad integrare il dolo del reato di maltrattamenti, che è dolo generico e consiste appunto nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo continuo e abituale, in modo da lederne complessivamente la personalità, tale da evidenziare nell’agente l’intenzione di avvilire e sopraffare la vittima e da ricondurre ad unità i vari episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest’ultima. Pertanto risulta configurato il reato di maltrattamenti in famiglia contestato al capo a), del quale deve ritenersi responsabile l’imputato. In relazione a tale reato deve ritenersi provata anche l’aggravante contestata di cui all’art. 572 co. 2 c.p. perché le condotte risultano poste in atto anche alla presenza della figlia minore. Le dichiarazioni della p.o., in quanto ritenute attendibili, forniscono la prova anche del reato di violenza privata di cui al capo c) nonché del reato di lesioni personali volontarie di cui al capo d) in danno della stessa in relazione ai fatti avvenuti la sera del 30.4.2023, come sopra ricostruiti; peraltro le lesioni alla mano di cui al capo d) sono documentate anche dalla fotografia allegata al verbale di denuncia querela sporta in data 30.4.2023. Va precisato al riguardo che non è ammissibile la richiesta avanzata dal P.M. solo in sede di discussione di riqualificare il reato di violenza privata di cui al capo c) nel diverso reato di rapina, del quale peraltro non risultano configurati tutti gli elementi costitutivi in quanto – secondo il narrato della p.o. -non risulta che l’imputato si sia impossessato del telefono sottraendolo alla donna, ma piuttosto che glielo abbia tolto di mano per impedirle di telefonare ai Carabinieri. Pertanto deve affermarsi la responsabilità dell’imputato anche in relazione ai reati di cui ai capi c) e d).

 Tribunale Nola, Collegio A Sentenza n. 622 emessa in data 19/03/2024.

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