Tribunale Nola, Collegio A - sentenza emessa in data 16/05/2024, n. 1076. Presidente estensore dott.ssa…
Sentenza n. 2290 emessa in data 4/12/2024 dal Giudice Monocratico del Tribunale di Nola dott. Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi.
STALKING
Atti persecutori: elementi costitutivi e criteri di valutazione dei singoli requisiti del reato.
Key Word: STALKING – ATTI PERSECUTORI – 612 BIS C.P.
ABSTRACT
Con la sentenza di seguito riportata, il Giudice Bruniano attraverso l’analisi delle risultanze dibattimentali riconosceva la sussistenza del reato di atti persecutori. A tal fine seguendo le coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte Costituzionale con sentenza 172 del 11/6/2014, adottava il metodo interpretativo di natura integrata e sistemica. In questo modo valutava ogni requisito di struttura del reato svolgendo una valutazione non atomistica, così giungendo alla conclusione che le condotte poste in essere dall’imputato, connotate dalla reiterazione nel tempo, integrassero il requisito di abitualità con conseguente sussistenza del reato contestato.
FATTO CONTESTATO
Il fatto di reato riguarda lereiterate condotte di minaccia e di molestia a carico della p.o. che cagionava un perdurante e grave stato di ansia e di paura, ingenerandole un fondato timore per la incolumità propria al punto da costringerla, altresì, ad alterare le abitudini di vita ed in particolare a non uscire di casa da sola nonché a temere di essere aggredita. In particolare: – Importunando ripetutamente ed insistentemente la p.o. sia di persona che per telefono, anche tramite insistenza con parenti e con i figli, nonché minacciando 1 a, anche di morte, con frasi del tipo: “MIDEVIDIRESE STAICONQUALCUNO,SE SCOPROCHESTAICONQUALCUNOTIUCCIDO,SEIUNAPUTTANA,DEVIMORIREDEVIPASSAREUNGUAIODEVIMORIRE” e ancora “IMIEI FIGLINONVOGLIONO PIÙPARLARECONME,SOPRATTUTTOILPICCOLO,LACOLPAÈ LATUA,SEIUNAPUTTANA,DEVIMORIRE,TIDEVOMETTERESOTTOLAMACCHINASETIINCONTRO,IOTIUCCIDODIGLIELOAICARABINIERI,ANZI ICARABINIERIONMIFANNOUNCAZZO”, inoltre “TENGOLAPISTOLANELCRUSCOTTODELLAMACCHINANONCIMETTO NIENTE AD UCCIDERTI”, “TENGO IL COLTELLONELLAMACCHINA,TIAPROLAPANCIASENONTENEVAIDICASA”; – Appostandosi più volte sotto l’abitazione della persona offesa, bussando ripetutamente ed insistentemente al suo citofono;
– Usando violenza fisica e cagionandole lesioni (traumi contusioni multiple) giudicate guaribili in giorni 5, come riportato nel referto del pronto soccorso dell’ospedale presente in atti; – Seguendola ripetutamente ed insistentemente nei suoi spostamenti – Da ultimo, in data 26 agosto 2019 dopo averla minacciata di morte e aver colpito con pugni alla schiena e alla testa il suo nuovo compagno si avventava sulla stessa e la colpiva allo stomaco con un pugno e l’afferrava per il collo profferendo al suo indirizzo le seguenti parole “ZOCCOLA, T’ACCIR, SI NUN TE NE VAI ASTACAS” .
Stralcio della motivazione della sentenza
Al riguardo, appare opportuno incidentalmente inquadrare la relativa fattispecie incriminatrice alla luce delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte Costituzionale nella sentenza dell’11.6.2014, n. 172, allorché il Giudice delle Leggi veniva adito per la pretesa violazione dei parametri di tassatività e determinatezza di cui all’art. 25 Cost., in relazione ai requisiti: a) della condotta intrusiva, di cui non sarebbe determinato il minimum temporalmente necessario e sufficiente affinché possa dirsi integrata la persecuzione penalmente rilevante; b) del “perdurante e grave stato di ansia e di paura”; c) della “fondatezza” del “timore” indotto nella vittima; d) delle “abitudini di vita”, la cui alterazione integra il terzo ed alternativo evento del fatto tipico.
Nel precisare che il metodo interpretativo da seguire, al fine di vagliare la compatibilità della fattispecie incriminatrice con il parametro costituzionale che si assumeva violato, dovesse essere di natura “integrata” e “sistemica”, imponendosi all’interprete di valutare ogni requisito di struttura del reato, in rapporto agli altri elementi costitutivi ed alla ragione giustificativa dell’incriminazione, e proprio sulla scorta di una valutazione non atomistica, la Corte ha ritenuto l’insussistenza delle censure prospettate dal remittente (che aveva, sul punto, recepito lo scetticismo delle prime letture della norma) per i motivi e nei termini che si vanno ad esporre.
In ordine alle condotte di minaccia e molestia, devono soccorrere i criteri ermeneutici delle preesistenti disposizioni codicistiche, che ricostruiscono la prima in termini di prospettazione di un male ingiusto, le altre quali condotte che alterino, in modo fastidioso ed inopportuno, l’equilibrio psichico di una persona “normale”, immune cioè da stati patologici che inducano ad una amplificata percezione della situazione di pericolo. Con la previsione della “reiterazione” delle condotte, il legislatore ha inteso circoscrivere la rilevanza penale delle molestie e della minaccia alle specifiche condotte assillanti che si caratterizzino per un atteggiamento di tipo predatorio nei confronti della vittima. Proprio questo requisito, che impone di ritenere la sussistenza del reato in presenza di almeno due episodi di natura molesta o intimidatoria, nel momento in cui diviene causa di uno dei tre eventi alternativi della fattispecie, esprime un più intenso disvalore penale della condotta e fonda la previsione della più severa disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 612 bis c.p.
In odine al “grave e perdurante stato di ansia” ed al “fondato timore per l’incolumità”, elementi che attengono alla sfera emotiva e psicologica dell’individuo, è necessario che siano accertati attraverso una accurata osservazione di elementi ed indici comportamentali che devono variare nel tempo, dunque attraverso la valutazione comparativa tra un “prima” e un “dopo”, tra la situazione precedente e successiva rispetto alla condotta dell’agente; e detti elementi ed indici comportamentali devono denotare un’apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell’equilibrio psicologico del soggetto passivo.
La valorizzazione delle aggettivazioni (gravità e perduranza dello stato di ansia; fondatezza del timore) impone di espungere dall’ambito oggettivo della fattispecie le condotte determinative di stati di ansia di poco momento – sia in rapporto alla loro durata, sia in rapporto alla loro incidenza sul soggetto passivo – o quelle che diano impulso a timori immaginari o del tutto fantasiosi.
Occorre tuttavia precisare che se, per un verso, l’assenza di riferimenti a criteri accertativi di natura medico legale non consente di ritenere che detto evento sussista solo in presenza di stati ansiosi che acquisiscano connotazioni da patologia psichiatrica, per altro verso, la fondatezza del timore è requisito che non può essere oggettivizzato più che tanto, trattandosi di uno stato psicologico reattivo che, attenendo al foro interno della coscienza, deve presentare un nesso di correlazione causale con la condotta dell’agente, e non essere meramente occasionato da essa, ma la cui intensità non può essere “calibrata”. Ciò, ferma restando la necessità di verifica della offensività della condotta, in rapporto al bene giuridico presidiato.
In ordine al cambiamento delle abitudini di vita, va riscontrato muovendo dal raffronto tra la situazione pregressa e quella successiva alla condotta criminosa, avuto riguardo al complesso dei comportamenti che la persona solitamente tiene nella sfera dinamico – relazionale, e dunque, in ambito familiare, sociale e lavorativo, comparando il “prima” e il “dopo” gli atti persecutori subiti (Corte Cost., 172/2014).
Ora, facendo applicazione delle descritte linee interpretative alle condotte qui al vaglio, si osservi che esse si connotano per la caratteristica della reiterazione nel tempo, integrando il requisito dell’abitualità.
La persona offesa è stata bersaglio di invettive e minacce (come sopra dettagliatamente riportate), che si sono accompagnate ad ulteriori azioni di disturbo intrusive nella sua vita privata e costitutive di un vero e proprio accanimento persecutorio.
Dalla narrazione della po, della cui attendibilità si è già detto, emerge la chiara ed evidente pretensione dell’imputato di monopolizzare e di controllare la vita della compagna.
L’atteggiamento possessivo ed invadente dell’imputato ha generato, dunque, un contesto opprimente e vessatorio per la vittima, la quale riferiva di essersi trovata esposta a violenze (si pensi all’episodio, riportato dalla p.o., in cui l’imputato alla vista della sua ex compagna con l’ AM la prendeva a pugni nello stomaco e l’afferrava per la gola spingendola con forza contro una inferriata) e minacce, queste ultime rivolte a discapito della sua incolumità (si pensi alle espressioni utilizzate dall’odierno imputato in danno della p.o., quali: “Tengo la pistola nel cruscotto della macchina non ci metto niente ad ucciderti”, “tengo il coltello nella macchina, ti apro la pancia, se non te ne vai di casa”, ma anche a quella dei suoi familiari.
L’istruttoria dibattimentale fornisce, inoltre, contezza degli inseguimenti perpetrati dall’imputato a danno della po.
Quanto all’evento integrante il delitto previsto e punito dall’art 612 bis c.p., le dinamiche sin qui descritte non potevano che produrre un clima di insicurezza negativamente incidente sulla sfera emotiva e sociale della po la quale si trovava costretta ad alterare profondamente le ordinarie abitudini di vita, per salvaguardare l’incolumità propria e quella dei suoi figli nonché del suo nuovo compagno.
Siffatto stato di ansia, provocato dalle condotte tenute dall’imputato, veniva corroborato dal narrato dei suoi amici e familiari i quali riferivano che la Saggese appariva impaurita ed in effetti la stessa aveva provveduto anche a cambiare l’intera serratura della porta del suo appartamento.
Con riferimento, poi, all’elemento soggettivo del reato di cui si tratta, le modalità ripetute ed ossessive della condotta rivelano la piena e costante consapevolezza da parte dell’agente della idoneità dei singoli atti di minaccia o molestia a realizzare uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma, unitamente agli atti già compiuti o da compiere, secondo, dunque, quella forma di gradualità del dolo che caratterizza i reati abituali (cfr. Cass., Sez. V, n. 35765/2015).
Sicché, conclusivamente sul punto, appaiono pienamente integrati i requisiti di struttura, oggettivi e soggettivi, del reato in addebito all’imputato, con conseguente pronuncia di condanna nella formula di cui al dispositivo.
Tribunale Nola, GM Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi Sentenza 4 dicembre 2024, N.2290.
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